Ai molti ignoto, Pietro Di Donato è un esempio, anzi è l’esempio più importante, (anche perché primo in assoluto) italiano che ha scritto in qualità di italo-americano. Ovvero di italiano d’America.
È conosciuto per aver scritto il romanzo autobiografico dal titolo Christ in concrete (in italiano Cristo tra i muratori) nel quale racconta, attraverso la sua esperienza di vita, la condizione sociale, economica e culturale degli italiani negli Stati uniti d’America nel secolo scorso.
Gli italiani in America, tra di essi i genitori di Pietro Di Donato
Pietro Di Donato fu un italiano immigrato di seconda generazione (considerando le generazioni come assolute e relative ad un certo periodo storico e quindi un certo comportamento assunto nella terra di arrivo).
- Per prima generazione intendiamo quegli immigrati italiani che arrivarono sotto la Statua della Libertà tra la fine del 1800 e i primi venti anni del 1900, questi avevano vissuto la fame e il terribile terremoto in Sicilia.
Dopo una lunga e terribile traversata (affrontata solo e soltanto se si avevano abbastanza soldi per potersi pagare il biglietto della nave quindi, spesso, erano ricavati dalla vendita di qualsiasi bene posseduto in Italia) venivano fermati a Long Island e lì dovevano ‘essere controllati’ e si stabiliva se poteva partire a quarantena previo sbarco a New York oppure se venivano rispenditi in Italia.
I genitori di Pietro Di Donato furono tra questi immigrati: Geremia Di Donato e Annunziata Cinquina arrivarono da Vasto e Taranta Peligna e riuscirono a scendere vivere il sogno americano. Ma cosa era il sogno americano realmente? Era una vita di lavoro, tendenzialmente trattati poco meglio di una bestia da lavoro. Va detto, infatti, che gli italiani e gli irlandesi furono gli immigrati trattati peggio negli Stati Uniti per via della fede Cattolica in comune: questa veniva percepita come un potenziale problema perché aveva nella sua dottrina la naturale spinta a fare proseliti.
- Per seconda generazione s’intendevano i figli degli immigrati di prima generazione, tra questi c’era anche Pietro Di Donato. La loro difficoltà consistette tendenzialmente nel non riuscire a sentirsi né italiani né tantomeno americani.
Nascevano già marchiati da quella che percepivano come una vergogna, una disgrazia che li faceva sentire meno validi rispetto ai WASP (White Anglo-Saxon Protestant), ovvero gli americani autoctoni (se così possiamo classificarli, considerando che i veri nativi erano già stati confinati nelle riserve). Solo nei decenni ’70 e ’80 ci fu una vera e propria riqualificazione delle etnie di origini che iniziarono ad essere maggiormente apprezzate e divennero, in alcuni casi, dei motivi di vero e proprio vanto. Il nostro scrittore non riuscì, sin da subito, a vivere la sua italianità con questa leggerezza.
Pietro Di Donato e la gestazione del suo romanzo
Prima abbiamo citato un romanzo molto importante di Pietro Di Donato, ovvero Christ in concrete , che già nel titolo vuole mostrare il conflitto tra la natura spirituale della fede e la concretezza della vita del fedele.
Pietro Di Donato opera una critica ferocissima nei confronti sia del suo stato di figlio di immigrato che, all’inizio si vergogna della sua provenienza genetica perché il contesto sociale glielo fa pesare, ma poi arriva a toccare con mano quanto può essere difficile vivere negli Stati Uniti se si è poveri e italiani.
Pietro era il primo di otto figli e si trova a doversi occupare economicamente della famiglia (aiutando la madre) quando il padre Geremia muore in un incidente sul cantiere (era il 30 marzo 1923) nel quale lavora senza tutele e riconoscimenti da parte della ditta e dello Stato. Geremia, in fondo, era solo un muratore immigrato come tanti. Morto uno veniva prontamente sostituito con un altro immigrato a caso. All’inizio Pietro lascia la scuola per aiutare la famiglia fino a farsene completamente carico quando morirà anche la madre qualche anno dopo.
Una scena molto forte nel romanzo mostra un piccolo Pietro che si reca nella chiesa del quartiere, affamato, chiede un aiuto al prete che è intento a mangiare mentre Pietro implora del cibo che gli viene, con molta gentilezza, negato. È un libro capostipite, un libro che segna un prima ed un dopo e che mostra la condizione proletaria degli immigrati nel 1900 americano. Un libro drammaticamente attuale anche ora, qui, nella civilissima Europa. All’inizio Pietro Di Donato si allontanò da quella religione che vedeva corrotta e fu grazie alle opere in America della missionaria e religiosa Francesca Saverio Cabrini a riavvicinarsi alla fede e alla Chiesa di Roma.
Pietro Di Donato fu davvero un vero immigrato d’America e dovremmo, noi italiani, esserne fieri.
Ludovica Cassano