Quando si parla e si scrive di Dante Alighieri, ci si relaziona con una figura – a tratti – mitologica perché è stato talmente tanto innovativo da risultare quasi un’idea, un miraggio.
Eppure, Dante nacque davvero in quel di Firenze, nel 1265, con il nome di Durante (Dante ne è un’abbreviazione) di Alighiero degli Alighieri. Morirà, come è ampiamente noto, in quel di Ravenna tra la notte del 13 e 14 settembre 1321.
Dante è considerato, ormai senza alcun dubbio, il padre della lingua italiana perché va ricordato che lo stesso visse da perfetto uomo medievale seppur alimentando quel guizzo di genio e grandiosa lungimiranza al punto da comprendere la grandezza della volgar lingua.
Breve descrizione del Mondo al tempo di Dante
Siamo nel tempo in cui l’Italia – come noi la intendiamo – non esisteva ancora perché divisa al suo interno in una serie di Stati.
Il Mondo conosciuto era frammentato e si reggeva sui pilastri della fede e del potere politico.
E Dante Alighieri come si colloca? Il Sommo Poeta spera che l’Imperatore possa mettere ordine nel caos che regna sul suolo italico e che riporti in alto i valori di giustizia e vede nel figlio di Federico II di Svevia (Enrico VII) questo potenziale Imperatore.
Ma mentre l’Alighieri immagina di vedere realizzato il sogno imperiale; nella sua città è in atto una vera e propria guerra cittadina tra i Cerchi ed i Donati (rispettivamente i Bianchi ed i Neri) affiliati più all’Imperatore – i primi – e più al Papa – i secondi. Dante non prende una posizione netta: è spostato con una Donati ma il suo migliore amico Cavalcanti è un Bianco. Ad un certo punto – in carica come priore – viene inviato a Roma per mediare con Carlo di Valois e per evitare la presa di Firenze. Nonostante il Papa non avesse dato a Carlo di Valois la propria benedizione, questi prende Firenze e Dante è considerato – suo malgrado – uno dei Bianchi. Avendo i Neri appoggiato lo stesso Carlo, viene annesso in automatica tra i nemici Bianchi e gli viene fatto divieto di rientrare in città pena la morte sul rogo. Da questo momento il triste e lento peregrinare dell’esule Alighieri che amerà e odierà la sua città natia.
… e delle opere dantesche
Si può dire che il Sommo Poeta scrisse tanto e ogni tipo di opera fu realizzata con la massima consapevolezza possibile di uno specifico argomento.
Se prendiamo in rassegna le opere che questi compose troveremo:
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Il Fiore e Detto d’Amore (1283-1287)
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Le Rime (le prime datate 1284)
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Vita Nova (1292-1293 probabilmente)
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Convivio (1303-1309)
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De Vulgari Eloquentia (1303-1304)
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De Monarchia (1310-1313)
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Commedia (iniziò a comporre nel 1300 fino alla sua morte)
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Una serie di Epistole tra le quali spicca l’Epistola XIII a Cangrande della Scala (degli anni dell’esilio, con tematiche prettamente politiche e religiose)
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Egloghe (1319-1321)
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La Quaestio de aqua et terra.
Eredità di Dante (accenni alla Divina Commedia)
La vera eredità di Dante Alighieri è riconducibile – oltre alla moltitudine di tematiche trattate dal poeta stesso – anche dalla sua capacità di creare espressioni e neologismi (neologismi danteschi per non rischiare di fraintenderne la paternità) presenti – in particolare – nella prima cantica della Commedia (definita Divina Commedia da Giovanni Boccaccio ).
L’autore fiorentino ha inventato qualcosa che non aveva precedenti e che non sarebbe stato nemmeno facilmente riproducibile: l’invenzione della terzina dantesca (dinamica e attrattiva), le parole usate nel pieno del loro peso specifico e l’originalità di trattare tematiche religiose e politiche permettendosi un “viaggio oltremondano”. È importante ricordarsi che Dante è un uomo del Medioevo, un periodo storico fortemente impregnato di credenze religiose e – a sua volta – condizionato da esse; Dante ne è certamente pregno (la celebrazione di Dio nella sua opera maggiore ne è un esempio) ma è lo stesso che si augura un potere imperiale centrale a gestire le cose terrene lasciando alla Chiesa soltanto la sfera religiosa (egli vedeva nella Curia Pontificia una grandissima corruzione).
Eppure, Dante Alighieri fu anche l’uomo che decantò l’amore puro, quello capace di nutrirsi solo di uno sguardo, e che per quello stesso sguardo sarebbe stato capace di dare la vita; il Sommo Poeta rese immensamente celebre la figura di Beatrice (cognome di battesimo Portinari, sposata de’ Bardi) che simboleggiò il sentimento più profondo e ne condizionò non poco la produzione letteraria dell’autore. Beatrice scorta Dante nella terza cantica (il Paradiso, della Divina Commedia) e nella Vita Nova.
Tre anni fa il mondo ha celebrato l’anniversario dalla morte del Poeta Dante Alighieri e fiumi di inchiostro hanno bagnato pagine per puntualizzare, riformulare e trattare questo autore che – ancora adesso – stupisce e che continua ad essere oggetto di studi perché sembra sempre un po’ sfuggire all’umana comprensione.
Ludovica Cassano